Onorevoli Colleghi! - Anche nel nostro Paese, come in tutti gli altri Paesi occidentali, si è verificata negli ultimi decenni una trasformazione significativa nei rapporti interpersonali e nelle forme di convivenza; questa modificazione dei costumi necessita di essere disciplinata per rispondere alle esigenze sia delle persone sia della società. La presente proposta di legge si pone pertanto l'obiettivo di disciplinare le convivenze di fatto nel nostro Paese, sul modello già in vigore nella maggioranza dei Paesi europei.
      L'esigenza di riconoscere e formalizzare modalità di convivenza tra persone non unite dal matrimonio risponde ad una domanda ormai presente e diffusa, al fine di consentire ai cittadini una scelta più libera nell'organizzazione della propria vita attraverso una forma riconosciuta dallo Stato.
      La convivenza di fatto fra due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, che questa proposta di legge definisce «unione di fatto», obbedisce a regole precise e prevede la stipula di un accordo che ha lo scopo di predeterminare gli aspetti patrimoniali e non patrimoniali e gli eventuali effetti in caso di scioglimento dell'unione stessa.
      Le disposizioni di carattere patrimoniale e non patrimoniale possono infatti riguardare il periodo di durata dell'unione, ma anche il periodo successivo alla sua cessazione, con la previsione che se nulla è detto in materia nell'accordo costitutivo, in caso di scioglimento dell'unione, nulla è dovuto.
      Tre sono le condizioni fondamentali affinché sia valido l'accordo fra due persone che decidono di dare vita ad una unione di fatto:

          1) che le due persone siano maggiorenni;

          2) che non siano unite in matrimonio tra loro o con altre persone;

          3) che non abbiano stipulato altri accordi per costituire un'unione di fatto.

      La presente proposta di legge non si prefigge di modificare la disciplina giuridica

 

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del matrimonio così come attualmente regolata dalla legislazione italiana, né intende influire sulla condizione giuridica dei figli o sulla disciplina delle adozioni dei minori, così come non intende modificare la concezione positiva del matrimonio come scelta volontaria, libera e cosciente. Contemporaneamente la proposta di legge non intende equiparare i componenti di una unione di fatto ai coniugi, se non per particolari casi e specificatamente quelli relativi alla materia successoria, ai diritti di abitazione, ai diritti e ai doveri di assistenza, alla legislazione riguardante il lavoro e la previdenza sociale, nonché all'applicazione delle norme penali.
      La necessità di disciplinare l'istituto dell'unione di fatto è quella più limitata di porre tutti i cittadini stabilmente conviventi nella condizione di essere liberi di scegliere quale assetto conferire ai loro rapporti, secondo il principio di uguaglianza giuridica e di pari dignità stabilito dalla Costituzione.
      Con la presente proposta di legge si intendono pertanto superare quegli ostacoli che impediscono attualmente alle coppie di fatto alcuni elementari diritti come quello di subentrare nell'affitto della casa comune in caso di morte del partner o quello di lasciare in eredità, fatti salvi i diritti degli eredi legittimi, il proprio patrimonio alla persona con la quale si è condivisa l'esistenza.
      La proposta di legge attribuisce un valore importante all'accordo costitutivo, che è alla base dell'unione stessa, oltre che alla questione dello scioglimento dell'unione, sia quando lo scioglimento è proposto da un solo contraente sia quando è proposto da entrambi. A questo proposito si prevede infatti che dal momento della dichiarazione relativa alla volontà di scioglimento dell'unione decorra un periodo di tempo sufficientemente significativo prima che l'ufficiale di stato civile dichiari sciolta l'unione stessa a tutti gli effetti.
      La disciplina delle unioni di fatto, pur adottando un criterio gradualistico, tende ad uniformare la legislazione italiana alle risoluzioni dell'Unione europea in materia di coppie di fatto, alle raccomandazioni rivolte agli Stati membri per l'adozione di norme in materia di antidiscriminazione e ai princìpi ricompresi nella Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
 

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